sabato 20 febbraio 2016

LA VAMPIRA NUDA O L'ARTE IMPURA DI JEAN ROLLIN di Domenico Monetti

 




Colui che sa, può pronunciare la parola sconosciuta e incontrarmi sulla riva destra
Nico, All That Is My Own

Corridoi apparentemente senza uscita. Oscure segrete. Candelabri che illuminano pallidi volti. Ombre sulla soglia. Sibili di vento. Cigolii di cancelli. Nebbia e apparizioni improvvise. Sguardi allucinati. Passi cadenzati. Ritmi catatonici. Silenzi illuminanti. Seni nudi. Lesbismo. Vampirismo. La spiaggia come luogo magico e terminale. I fumetti erotici anni ’60 come la “Saga de Xam.” La pittura surrealista. Morbosità tardoromantiche. I romanzi di Jean Ray. Gaston Leroux. I serial di Feuillade. Il cinema di Georges Franju. Il risibile (in)volontario. Il gotico che si trasforma in avanguardia e che a sua volta incrocia la naivité dilettantesca di un teatrino parrocchiale. Gli strali negativi della critica che riducono il cognome di un regista in aggettivo denigrativo: rollinade. Il secondo lungometraggio di Jean Rollin è La vampira nuda, anche se il precedente Le viol du vampire, inedito in Italia, nasceva originariamente come mediometraggio. Lo stesso secondo film del cineasta francese giunge da noi solamente nel 1975. Il film racchiude alla perfezione i pregi e i difetti dell’“autore” Rollin. Ovvero una sinossi confusa e contraddittoria, una catalessi nei ritmi che annulla qualsiasi suspence, un’attenzione accurata al pop design (con particolare riferimento al vestiario delle interpreti femminili). I motivi di questi particolari tratti d’autore risiedono nella concezione del cineasta riguardo al soprannaturale. Come scrivono giustamente gli studiosi Roberto Curti e Tommaso La Selva secondo Rollin il fantastico è lopposto del soprannaturale: ciò che si snoda sullo schermo non è lordinato susseguirsi di una sceneggiatura, ma una serie di sequenze, talvolta completamente improvvisate, spesso incentrate sulla ripetizione di unimmagine-chiave.1 La trama è solo un pretesto per scatenare un florilegio di immagini lentissime dove ogni spettacolarità viene bandita e i pochi effetti speciali richiamano il cinema fantastico delle origini di Georges Méliès. Il ritmo sembra piacevolmente assente come nei lied per harmonium della femme fatale Nico. È l’occhio che gioca la sua ultima partita, ovvero quella del vedere, attività che spesso e volentieri si trasforma in un occhiale, capace di correggere la miopia di paesaggi ingiustamente cancellati dalle più convenzionali forme-spettacolo. La vampira nuda, così come Le viol du vampire, Violenza ad una vergine nella terra dei morti vivente, Vierges et vampires2, sono dei perenni tableaux vivant con variazioni minime, talora impercettibili. Questa sorta d’installazione gotico-fantastica è riscontrabile anche in oggetti più seriali e infimi come il terribile hardcore, Vibrazioni (Vibrations sexuelles, 1977), perfetto nella sua inebetita statica alternanza tra passeggiate e amplessi, spesso onirici da parte dell’inespressivo protagonista Alban Caray. Il basso e l’alto per Rollin non ha vertigine gerarchica. Poco importa delle sinossi a dir poco deliranti e scombinate, in particolar modo è degna di nota quella de La vampira nuda. Il giovane Pierre è deciso a scoprire che cosa sia accaduto ad una ragazza in fuga da misteriosi esseri coperti da maschere animalesche. Il padre del ragazzo, Radamante, è un ricco industriale, amante dell’occulto e appartiene a una setta che persegue il suicidio e il sacrificio umano per realizzare il sogno di procurarsi la formula dell’eterna giovinezza. Scoperti i piani misteriosi paterni, Pierre si unisce ai nemici del freddo e terribile capitalista: degli strani esseri ai quali le pallottole non fanno nulla. Erroneamente considerati dei vampiri da Radamante e dai suoi scienziati, sono degli esseri che hanno raggiunto l’immortalità e che possono guidare Pierre verso una via “superiore”. Forse perché i veri vampiri sono gli uomini. Accompagnato, spesso in forma di contrappunto, dalle partiture sperimentali di Yvon Serault, il film annichilisce qualsiasi desiderio di spettacolarizzazione in favore di una visione manichea in cui i buoni sono i freaks, ora i vampiri, ora gli extraterrestri, in una parola gli altri da noi.3 Il film è pervaso da uno spirito tardo romantico, decadente, a tratti ingenuo e commovente. Si veda ad esempio il succhiare il sangue sul seno da parte della presunta vampira verso un’altra donna… è una scena sensuale che non presuppone nessun possesso, ma una gratuità da parte della “vittima” nel darsi spontaneamente. Il lesbismo per il regista sembra essere un’arte superiore dell’amore. Lo stesso dicasi nel rapporto eterosessuale tra Pierre e la ragazza: sono casti abbracci, quasi in posa, da amor cortese. Ben diverso è invece il rapporto di Radamente con le sue schiave: le tocca, le palpa, le pizzica, come oggetti merceologici. Ma ne La vampira nuda c’è anche un’etica dello sguardo che sarà poi ricorrente nella filmografia di Rollin. L’utilizzo dei campi lunghi, così come i piani sequenza, rappresentano una visione contemplativa ed equidistante delle cose, degli esseri umani, degli ambienti, della natura circostante. Non c’è alcuna gerarchia razzistica in tutto ciò: un primo piano su un albero, un dettaglio su un antico portone hanno la stessa importanza di un primo piano di un attore creando così dei magnifici giochi estetici, ben sottolineati da Jacopo Coccia: I volti, le scenografie curate nel minimo dettaglio (perennemente in bilico tra interni art nouveau e location medievaleggianti), la costruzione dellinquadratura ed i cromatismi ricercatissimi: tutto è amalgamato in una seducente simmetria artistica, tipica e distintiva dellautore francese.4 Ma non sono solo i castelli, le ville antiche, i boschi misteriosi a essere dei topoi ricorrenti nelle opere di Rollin. C’è ad esempio la spiaggia di Dieppe, perfetto esemplificazione di luogo fuori dal tempo, limen tra un reale ancora comprensibile e l’immaginazione pura. Non a caso questa location ideale appare spesso e volentieri come conclusione del film con la smaterializzazione dei personaggi: ad esempio ne La vampira nuda, sparisce il malvagio Radamente, mentre nel successivo Violenza ad una vergine nella terra dei morti viventi a scomparire sono i vampiri con la luce del sole. Ma ricorrenti sono anche i volti di molti attori che ritorneranno nei futuri film del cineasta: da Michel Delahaye alle gemelline Catherine e Marie Pierre-Castel. La vampira nuda può essere considerato un secondo tassello di quel mondo chiuso adolescenziale nel suo crucciato autocompiacimento e nel rifiuto di ogni apertura verso lesterno, e il regista un eterno Peter Pan troppo scarso tecnicamente per mettere lucidamente su pellicola i propri sogni, eppure innegabilmente outré, scrupolosamente intento a sciorinare le proprie influenze e ossessioni.5 Ma è proprio in questa purezza d’intenti, accompagnati da un dilettantismo commovente e a suo modo sperimentale e da budget poverissimi, soprattutto per quanto riguarda le prime opere che Jean Rollin può essere considerato a buon diritto come un autoreprestatoal cinema genere, che affronta in maniera del tutto personale, preferendo la propria astratta poetica alle coordinate dellhorror: del resto, il suo è un cinema fantastico più che dellorrore. […] nonostante i budget spesso poveri a disposizione e gli attori non sempre allaltezza della situazione, Rollin è riuscito a costruire una dimensione erotico-fantastica degna di attenzione, ritagliandosi un posto di rilievo tra i registi di genere.6








1 Roberto Curti, Tommaso La Selva, Sex and violence. Percorsi nel cinema estremo, Lindau, Torino, 2003, 2007, p. 97. È lo stesso Jean Rollin, in un’intervista rilasciata a Gian Luca Castoldi a spiegare la differenza tra cinema horror e quello fantastico: Fantastiquevuol dire per me soprannaturale, onirico, mentre lorrore si identifica con ilgore”. Il gore non mi piace, a volte lo utilizzo in alcune sequenze dei miei film perché ne ho bisogno ma non amo far ricorso a scene sanguinarie, preferisco lirrazionale contenuto nel fantastico, al facile effetto. Potrei fare un filmfantastiquesenza alcun elemento horror. Ci sono dei film che ho girato, che sono dei thriller con elementi fantastici; quel genere di film mi piace, ma non lhorror. in “Amarcord. Il lato oscuro del cinema” n. 5 novembre/dicembre 1996, p. 5.
2 Conosciuto anche come Requiem of a vampire.
3 I vampiri (e le vampire) sono senzaltro una mia dolce ossessione. Sono personaggi che hanno una loro poesia, in un mondo che si è fatto violento e volgare risultano quasi innocenti, lunatici, allo stesso tempo seducenti, sensuali ed un posurreali. Non a caso io ho sempre voluto fare nel cinema quello che gente come Paul Delvaux o Max Ernst hanno fatto nella pittura: ho voluto creare delle situazioni surreali, strane, qualcosa che ha a che fare più col sognotalvolta con lincuboche con la realtà. Andrea Capizzi (a cura di), Jean Rollin: una vita tra le vampire, “Nocturno” dossier n. 1 giugno 2002., p. 30.
4 www.bizzarrocinema.it
5 Roberto Curti, Tommaso La Selva, Sex and violence, cit., p. 98.
6 Fabio Giovannini, Antonio Tentori, Eros e cinema fantastico, Datanews, Roma, 2004, p. 114.

domenica 14 febbraio 2016

DAI PRIMI CORTOMETRAGGI ALLE VAMPIRE NUDE di Michele Tosolini





Se l'amore per il cinema in Rollin sboccia in seguito alla visione de La maschera sul cuore (Le capitaine Fracasse, Abel Gance, 1942), dove scopre il fascino della narrazione fantastica, lo stesso regista individua in un evento fondamentale della sua adolescenza il momento in cui ha fatto i primi passi nella professione artistica. All'età di 15 anni riceve in regalo dalla madre una macchina da scrivere con la quale comincia ad esercitarsi nella scrittura e a scrivere le prime storie sotto forma di sceneggiatura. In quel periodo comincia a frequentare assiduamente i cinema di Parigi, diventa un grande appassionato di serial americani e un vorace lettore di fumetti.
I primi contatti con il mondo di celluloide e le sue tecniche risalgono proprio a quegli anni, quando trova lavoro presso l'azienda Le films de Saturne, specializzata nella creazione di titoli di testa o di coda, brevi cartoni animati o brevi documentari destinati ai circuiti privati dell'industria.
Durante il servizio militare Rollin continua le sue esperienze nella sezione documentaristica dell'esercito realizzando un documentario, Mechanographie, e un mediometraggio, La Guerre de silence.
Tornato a Parigi, continua il suo apprendistato cinefilo, insieme ad un gruppo di amici comincia a frequentare assiduamente la Cinémathèque française, dal 1955 trasferitasi in una nuova e più grande sala al 29 di Rue d'Ulm. Oltre a me - afferma l'autore nella sua autobiografia – c'erano Michel Delahaye, Claude Beylie, sovente anche Jean-Charles Pichon.1
Queste frequentazioni influiscono enormemente sulla formazione artistica, intellettuale e cinematografica di Rollin, già influenzata dall'elite culturale del tempo: le frequentazioni familiari giovano a Rollin alcune conoscenze importanti come Adré Breton, Georges Bataille, filosofo e scrittore, l'esistenzialista Maurice Blanchot, l'attrice Marianne Oswald.
Il suo debutto come autore si colloca proprio in quegli anni. Rollin trova un impiego come montatore presso la Actualités Française, un'agenzia di informazione che forniva alle sale cinematografiche degli spot informativi da proiettare prima dei film.
All' Actualités Française diventa subito amico dei cameramen che gli prestano una vecchia cinepresa 35 mm Maurigraphe: Si trattava di un modello mai commercializzato, pesava una tonnellata e ho potuto utilizzarla solo dopo aver effettuato personalmente una correzione della parallasse.2
Riunita una piccola compagnia, Rollin decide di girare il suo debutto a Pourville-les-Dieppe, una piccola località dell'Alta Normandia. Affascinato dalle leggende bretoni e dalla poesia di Tristan Corbière, il regista francese sceglie di girare il suo primo cortometraggio sulla spiaggia di questo paesino di pescatori affacciato sul gelido mare dello stretto di Calais.3
Filmato durante i fine settimana, Les amours jaunes (1958, 12', b/n), ispirato dall'omonimo componimento poetico di Corbière, fissa alcune tematiche presenti in seguito nell'opera di Jean Rollin, luoghi simbolici come la spiaggia, il connubio romantico uomo (poeta/marinaio) – natura (il mare, le scogliere), il surrealismo espressivo di una fotografia quasi onirica. In questo corto, inoltre, l'autore intreccia più piani espressivi: la suggestiva descrizione della solitudine dei luoghi e delle atmosfere viene accompagnata dalla lettura della poesia di Corbière, intervallata dalle immagini dei disegni di Fabien Loris.
Nel 1961 il regista francese comincia girare un secondo cortometraggio, Ciel de cuivre, che però, rimane incompiuto. L'anno successivo accresce la propria esperienza dietro la macchina da presa lavorando a Un cheval pour deux come assistente alla regia di Jean-Marc Thibault. Nel 1963 Jean Rollin ritorna alla spiaggia del suo esordio con la ferma intenzione di girare il suo primo lungometraggio: L'itinéraire marin. Scritto dallo stesso regista e impreziosito dai dialoghi firmati dallo scrittore Gérard Jarlot e da Marguerite Duras, conosciuti grazie al padre, quello che sarebbe duvuto divetare il primo long-feature di Rollin viene interrotto per mancanza di finanziamenti.
Nel 1964 l'autore viene chiamato a girare un documentario, Vivre en Espagne, sul generale Francisco Franco da un gruppo di anarchici francesi simpatizzanti della resistenza spagnola al regime del dittatore. L'esperienza si conclude molto velocemente con la cacciata da Madrid del regista e della troupe.
Ritornato in Francia, Rollin si dedica alla scrittura, realizzando il suo primo romanzo: “Les pays loins.” La scrittura, come l'arte figurativa (cinema, pittura, disegno, fumetto), è sempre stata una delle passioni che il regista non ha mai abbandonato. Il suo primo romanzo, di genere fantascientifico, diviene fonte di ispirazione per un nuovo lavoro dietro la macchina da presa. Nel 1965 firma il suo cortometraggio Les pays loin (17', b/n) in cui utilizza le forme narrative del genere sci-fi per raccontare la vicenda di un uomo e una donna oppressi da una società repressiva e totalitaria, costantemente braccati da una forza sconosciuta. Le atmosfere decadenti vengono sottolineate dagli effetti sonori e da una colonna sonora jazz.
La carriera cinematografica di Rollin alla fine degli anni '60 non è ancora decollata. Le difficoltà sono molteplici, ma soprattutto legate all'aspetto finanziario. Il regista decide di dedicarsi maggiormente alla realizzazioni di fumetti. In quegli anni viene pubblicato il primo fumetto per adulti in Francia: Barbarella di Jean-Claude Forest. Il successo spinge immediatamente Eric Losfeld, l'editore, a sfruttare il più possibile quel settore ancora poco battuto in Francia, cercando nuove opere inedite. Rollin, con Nicolas Deville, pittore e già suo scenografo, confeziona una graphic novel futuristica simile a Barbarella: la Saga di Xam.
Il ritorno dietro la macchina da presa coincide con una serie di eventi fortunati per Rollin. Il distributore parigino Jean Lavie chiede al regista un cortometraggio horror di 30 o 40 minuti da associare in una doppia proiezione a Cyclops il vampiro (Dead Man Walk, Sam Newfield, 1943) di cui aveva acquistato i diritto. Rollin presenta a Lavie la sceneggiatura di Le viol du vampire. Il film, considerato il debutto cinematografico dell'autore, è una delle pellicole più controverse dell'autore, anzitutto perché nasce come un mediometraggio, realizzato con un budget ridicolo, per il double-bill con il film di Newman, mentre in un secondo momento si richiede a Rollin di “allungare” il suo lavoro per confezionare un film a tutti gli effetti. Il risultato è un “melodramma in due parti” (come recita una scritta d'apertura) in cui la coerenza di trama tra la prima e la seconda parte (chiamate Les femmes vampires) viene del tutto snaturata tanto che alcuni personaggi riappaiono nella seconda parte dopo esser stati uccisi nella prima. Il successo del film, tuttavia, arriva, ma per ragioni politiche: Le viol du vampire viene proiettato per la prima volta proprio durante i tumulti del maggio francese del 1969. L'aderenza dei temi al periodo storico è certamente un fattore coadiuvante il successo di pubblico, ma a motivare 45 mila spettatori nelle sale parigine per il debutto di Jean Rollin è stata la scarsità di pellicole uscite in un periodo in cui molti distributori preferiscono attendere che si plachino le agitazioni sociali.
Se il risultato al botteghino premia Rollin, la critica lo massacra tanto da coniare il termine spregiativo “rollinade”, per indicare pellicole con una trama traballante, il ricorso al nudo femminile per “dare corpo” alla visione e l'aggiunta di sequenze surreali languide e pretenziosamente poetiche.
Le violcommenta lo stesso regista – è stato un grande scandalo a Parigi. Il pubblico impazziva letteralmente dopo la visione […] e la ragione principale è che nessuno riusciva a comprendere la trama. Ma c'è una trama, lo giuro! Ora, dopo molto tempo, ho capito che tutti si aspettavano una storia di vampiri. Il pubblico dell'horror al tempo conosceva solo i vampiri della Hammer mentre il mio film andava oltre l'idea classica vampiro.4
L'inclinazione surrealista e avanguardista di Rollin è in effetti molto forte già in questa opera d'esordio: la struttura narrativa è deragliante, i dialoghi talmente inutili da dare alle parole quasi un valore di “nonsense”, la recitazione è definibile dilettantistica (praticamente una semplice presenza dell'attore in scena), Le viol du vampire ci introduce in una visione composta da inquadrature accostate, da immagini ripetute o deformate, da suggestioni artistiche, da spazi metaforici e poetici sempre popolati da corpi nudi femminili.









1 Jean Rollin, MoteurCoupez! Mémories d'un cinéaste Singulier, Editions Elite, Paris, 2008, pp. 8-9. (Michel Delahaye è un attore francese, ha lavorato con Rollin ne La vampira e in Violenza ad una vergine nella terra dei morti viventi. Sua anche una comparsata ne L'ultimo tango a Parigi in una scena che, tuttavia, è stata poi scartata in sede di montaggio. Claude Beylie è stato critico cinematografico, saggista, professore di teorie del cinema alla Sorbona. Jean-Charles Pichon, scrittore francese, autore de Il faut que je tue Monsieur Ruman).
2 Ivi, pp. 26-27.
3 La spiaggia di Pourville-les-Dieppe ritornerà un molti film del regista, addirittura in un film con ambientazione newyorkese Perdues dans New York (1989).
4 Andy Black, Clocks, Seagulls, Romeo and Juliet, Cit.

venerdì 12 febbraio 2016

EROTISMO, ARTE E CINEMA LOW BUDGET di Michele Tosolini




Tra la fine degli anni '60 e gli anni '70, il cinema indipendente francese è popolato da una sterminata produzione di pellicole a basso costo dalle forti tinte erotiche. La “liberazione sessuale” sul grande schermo si compie grazie alle pulsioni sociali che investono tutta la società del maggio francese, sgretolando il tabù della nudità e della libertà sessuale, e mutando soprattutto l'immagine della donna, ora emancipata, sofisticata e seduttrice.
Il cinema low budget in quegli anni viaggia quasi esclusivamente sui binari dell'eros che varca persino territori più spiccatamente hardcore. Non è raro infatti che i registi aggiungano scene porno alle loro pellicole per garantirsi un introito extra con la distribuzione nei circuiti a luci rosse, o che alternino produzioni hard con film di genere, magari mantenendo lo stesso cast di attori.
Il cambiamento sociale, tuttavia, non riesce da subito a sdoganare l'erotismo più esplicito nelle produzioni mainstream. Solo dopo L'ultimo tango a Parigi (Bernardo Bertolucci, 1972) il cinema erotico acquisisce rispettabilità da parte della critica. Nel decennio precedente al contrario rimane confinato nelle produzioni borderline della cosiddetta sexploitation che, infatti, deve ancora fare i conti con l'istituzionalità repressiva della censura e con il Ministero della Cultura che favorisce, anche finanziariamente, le produzioni “di qualità”.
Nonostante il cinema francese di quegli anni sia quello di Jean-Luc Godard, di Françoise Trouffaut, di Claude Chabrol o di Robert Bresson, le produzioni a basso costo riescono a ritagliarsi fette di pubblico sempre più grosse, contrapponendo alla Nouvelle Vague una schiera di “artigiani” di un cinema non meno sperimentale, marginale per la critica, e acclamato da un'estesa nicchia di fan.
I primi registi ad assaporare il gusto del proibito sono Max Pécas e José Bénazéraf, seguiti poi da Claude Mulot, Michel Lemoine e, naturalmente, Jean Rollin.
La produzione cinematografica di Jean Rollin riassume il fermento dell'epoca con modalità espressive che presto diventano il suo marchio di fabbrica, proponendo una visione “per immagini” volta a suscitare nello spettatore sensazioni inaspettate e intense, spesso a scapito della linearità della trama. Rollin è un autore del fantastico cinematografico impreziosito da simboli, costumi, personaggi decadenti e da un ossessivo romanticismo.
Il poeta francese André Breton esaltava il cinema come veicolo per l'automatismo psichico propugnato dai Surrealisti, fondato com'è su un linguaggio analogico che può esprimere il mondo delle emozioni e dell'istinto.1 L'irrazionalità di tutto ciò che ci circonda emerge in maniera immediata, senza alcuna decodifica da parte della ragione e in una verità non soggiogata e distorta dalla morale o da strutture estetiche precostituite. Rollin arriva per altre vie alla medesima conclusione: il suo è un surrealismo bastardo e istintivo, figlio di certo milieu autoriale ma (involontariamente) imprigionato in un immaginario adolescenziale da cinema delle astrazioni.2
Il risultato è una forma espressiva orientata, più che nelle trame, nelle forme del fantastico come queste si dispiegano davanti agli occhi del fruitore, evocando da un lato poeticità letteraria e pittorica, dall'altro contaminandole con le spesso squallide tecniche del low budget, e con l'espressività popolare dell'horror, dell'erotico e del porno.
I punti di riferimento cinematografici di Jean Rollin sono quindi legati alla capacità espressiva dell'opera. Le immagini ossessive erotiche e perturbanti di Jesus Franco, o le visioni surrealiste di Luis Buñuel emergono nella visione cinematografica come un quadro di René Magritte: Possiamo isolare una o più immagini da un suo film afferma Rollin a proposito di Buñuel – e il fotogramma isolato ci comunica qualcosa. Le immagini sono indipendenti dall'opera, sono la voce dell'autore stesso.3
Il legame tra l'opera del regista francese e il movimento surrealista è conclamato. Molti sono i riferimenti o gli omaggi ai suoi principali esponenti culturali: Jean Cocteau, eclettico artista francese, e il regista Louis Feuillade sono i suoi riferimenti principali e legati alla giovinezza. Ne La vampira nuda (La vampire nue,1970) Rollin cita L'uomo in nero (Judex, 1963) di Georges Franju, e riesce con i suoi film a dare immagine agli scritti del romanziere del fantastico Jean Ray e di Gaston Leroux; Rollin anima sullo schermo i nudi del pittore belga Paul Delvaux utilizzando le tecniche espressive tipiche del surrealismo.
Ne L'isola delle demoniache (Les démoniaques, 1974) Rollin ridipinge sul set le immagini del dipinto La violée du vaisseau fantome del pittore Clovis Trouille. Come per Magritte, Trouille dipinge persone e oggetti in maniera surrealistica afferma il regista francese – Opere come Stigma Diaboli, La violée du vaisseau fantome, L'heure du sortilege e altri sono immagini presenti tanto nella mia mente, quanto nei miei film. Sono opere che celebrano il mistero della fantasia e dell'immaginazione. […] Se osserviamo dipinti come Mon toumbeau ci richiama alla mente immagini dei miei Le viol du vampire (1968), Violenza ad una vergine nella terra dei morti viventi (Le frisson des vampires, 1971) o Vierges et vampires (1971).4










1 Roberto Curti, Jean Rollin, in Il rasoio e la luna. Guida al cinema surrealista, Nocturno” Dossier n. 81, Aprile 2009, p. 24.
2 Ibid.
3 Andy Black, Clocks, Seagulls, Romeo and Juliet. Surrealism Rollin style, “KinoeyeVol. 2-7, 15 aprile 2002 tratto da Necronomicon, the Journal of Horror and Erotic Cinema, Creation Books, 1996.
4 Ibid.