Colui
che sa,
può pronunciare
la parola
sconosciuta e
incontrarmi sulla
riva destra
Nico, All
That Is
My Own
Corridoi apparentemente
senza uscita. Oscure segrete. Candelabri che illuminano pallidi
volti. Ombre sulla soglia. Sibili di vento. Cigolii di cancelli.
Nebbia e apparizioni improvvise. Sguardi allucinati. Passi cadenzati.
Ritmi catatonici. Silenzi illuminanti. Seni nudi. Lesbismo.
Vampirismo. La spiaggia come luogo magico e terminale. I fumetti
erotici anni ’60 come la “Saga de Xam.” La pittura
surrealista. Morbosità tardoromantiche. I romanzi di Jean Ray.
Gaston Leroux. I serial di Feuillade. Il cinema di Georges Franju. Il
risibile (in)volontario. Il gotico che si trasforma in avanguardia e
che a sua volta incrocia la naivité dilettantesca di un teatrino
parrocchiale. Gli strali negativi della critica che riducono il
cognome di un regista in aggettivo denigrativo: rollinade. Il
secondo lungometraggio di Jean Rollin è La vampira
nuda, anche se il precedente Le viol
du vampire, inedito in Italia, nasceva
originariamente come mediometraggio. Lo stesso secondo film del
cineasta francese giunge da noi solamente nel 1975. Il film racchiude
alla perfezione i pregi e i difetti dell’“autore” Rollin.
Ovvero una sinossi confusa e contraddittoria, una catalessi nei ritmi
che annulla qualsiasi suspence, un’attenzione accurata al pop
design (con particolare riferimento al vestiario delle interpreti
femminili). I motivi di questi particolari tratti d’autore
risiedono nella concezione del cineasta riguardo al soprannaturale.
Come scrivono giustamente gli studiosi Roberto Curti e Tommaso La
Selva secondo Rollin il
fantastico è l’opposto
del soprannaturale: ciò
che si snoda sullo
schermo non è l’ordinato
susseguirsi di una
sceneggiatura, ma una serie
di sequenze, talvolta
completamente improvvisate, spesso
incentrate sulla ripetizione
di un’immagine-chiave.1
La trama è solo un pretesto per scatenare un florilegio di immagini
lentissime dove ogni spettacolarità viene bandita e i pochi effetti
speciali richiamano il cinema fantastico delle origini di Georges
Méliès. Il ritmo sembra piacevolmente assente come nei lied per
harmonium della femme fatale Nico. È l’occhio che gioca la sua
ultima partita, ovvero quella del vedere, attività che spesso e
volentieri si trasforma in un occhiale, capace di correggere la
miopia di paesaggi ingiustamente cancellati dalle più convenzionali
forme-spettacolo. La vampira nuda,
così come Le viol du vampire,
Violenza ad una vergine
nella terra dei morti
vivente, Vierges et vampires2,
sono dei perenni tableaux vivant con variazioni minime, talora
impercettibili. Questa sorta d’installazione gotico-fantastica è
riscontrabile anche in oggetti più seriali e infimi come il
terribile hardcore, Vibrazioni (Vibrations
sexuelles, 1977), perfetto nella sua inebetita statica
alternanza tra passeggiate e amplessi, spesso onirici da parte
dell’inespressivo protagonista Alban Caray. Il basso e l’alto per
Rollin non ha vertigine gerarchica. Poco importa delle sinossi a dir
poco deliranti e scombinate, in particolar modo è degna di nota
quella de La vampira nuda.
Il giovane Pierre è deciso a scoprire che cosa sia accaduto ad una
ragazza in fuga da misteriosi esseri coperti da maschere animalesche.
Il padre del ragazzo, Radamante, è un ricco industriale, amante
dell’occulto e appartiene a una setta che persegue il suicidio e il
sacrificio umano per realizzare il sogno di procurarsi la formula
dell’eterna giovinezza. Scoperti i piani misteriosi paterni, Pierre
si unisce ai nemici del freddo e terribile capitalista: degli strani
esseri ai quali le pallottole non fanno nulla. Erroneamente
considerati dei vampiri da Radamante e dai suoi scienziati, sono
degli esseri che hanno raggiunto l’immortalità e che possono
guidare Pierre verso una via “superiore”. Forse perché i veri
vampiri sono gli uomini. Accompagnato, spesso in forma di
contrappunto, dalle partiture sperimentali di Yvon Serault, il film
annichilisce qualsiasi desiderio di spettacolarizzazione in favore di
una visione manichea in cui i buoni sono i freaks, ora i vampiri, ora
gli extraterrestri, in una parola gli altri da noi.3
Il film è pervaso da uno spirito tardo romantico, decadente, a
tratti ingenuo e commovente. Si veda ad esempio il succhiare il
sangue sul seno da parte della presunta vampira verso un’altra
donna… è una scena sensuale che non presuppone nessun possesso, ma
una gratuità da parte della “vittima” nel darsi spontaneamente.
Il lesbismo per il regista sembra essere un’arte superiore
dell’amore. Lo stesso dicasi nel rapporto eterosessuale tra Pierre
e la ragazza: sono casti abbracci, quasi in posa, da amor cortese.
Ben diverso è invece il rapporto di Radamente con le sue schiave: le
tocca, le palpa, le pizzica, come oggetti merceologici. Ma ne La
vampira nuda c’è anche un’etica
dello sguardo che sarà poi ricorrente nella filmografia di Rollin.
L’utilizzo dei campi lunghi, così come i piani sequenza,
rappresentano una visione contemplativa ed equidistante delle cose,
degli esseri umani, degli ambienti, della natura circostante. Non c’è
alcuna gerarchia razzistica in tutto ciò: un primo piano su un
albero, un dettaglio su un antico portone hanno la stessa importanza
di un primo piano di un attore creando così dei magnifici giochi
estetici, ben sottolineati da Jacopo Coccia: I volti,
le scenografie curate nel
minimo dettaglio (perennemente
in bilico tra interni
art nouveau e location
medievaleggianti), la costruzione
dell’inquadratura ed i
cromatismi ricercatissimi: tutto
è amalgamato in una
seducente simmetria artistica,
tipica e distintiva
dell’autore francese.4
Ma non sono solo i castelli, le ville antiche, i boschi misteriosi a
essere dei topoi ricorrenti nelle opere di Rollin. C’è ad esempio
la spiaggia di Dieppe, perfetto esemplificazione di luogo fuori dal
tempo, limen tra un reale ancora comprensibile e l’immaginazione
pura. Non a caso questa location ideale appare spesso e volentieri
come conclusione del film con la smaterializzazione dei personaggi:
ad esempio ne La vampira nuda,
sparisce il malvagio Radamente, mentre nel successivo Violenza
ad una vergine nella
terra dei morti viventi
a scomparire sono i vampiri con la luce del sole. Ma ricorrenti
sono anche i volti di molti attori che ritorneranno nei futuri film
del cineasta: da Michel Delahaye alle gemelline Catherine e Marie
Pierre-Castel. La vampira nuda
può essere considerato un secondo tassello di quel
mondo chiuso adolescenziale
nel suo crucciato
autocompiacimento e nel
rifiuto di ogni apertura
verso l’esterno, e
il regista un eterno
Peter Pan troppo scarso
tecnicamente per mettere
lucidamente su pellicola i
propri sogni, eppure
innegabilmente outré, scrupolosamente
intento a sciorinare le
proprie influenze e
ossessioni.5
Ma è proprio in questa purezza d’intenti, accompagnati da un
dilettantismo commovente e a suo modo sperimentale e da budget
poverissimi, soprattutto per quanto riguarda le prime opere che Jean
Rollin può essere considerato a buon diritto come un autore
“prestato” al cinema
genere, che affronta in
maniera del tutto
personale, preferendo la
propria astratta poetica
alle coordinate dell’horror:
del resto, il suo
è un cinema fantastico
più che dell’orrore.
[…] nonostante i budget
spesso poveri a
disposizione e gli attori
non sempre all’altezza
della situazione, Rollin è
riuscito a costruire una
dimensione erotico-fantastica
degna di attenzione,
ritagliandosi un posto di
rilievo tra i registi
di genere.6
1
Roberto Curti, Tommaso La Selva, Sex and
violence. Percorsi nel
cinema estremo, Lindau, Torino, 2003, 2007,
p. 97. È lo stesso Jean Rollin, in un’intervista rilasciata a
Gian Luca Castoldi a spiegare la differenza tra cinema horror e
quello fantastico: “Fantastique” vuol
dire per me
soprannaturale, onirico, mentre
l’orrore si identifica
con il “gore”. Il
gore non mi piace,
a volte lo utilizzo
in alcune sequenze dei
miei film perché ne
ho bisogno ma non
amo far ricorso a
scene sanguinarie, preferisco
l’irrazionale contenuto
nel fantastico, al facile
effetto. Potrei fare un
film “fantastique” senza
alcun elemento horror. Ci
sono dei film che
ho girato, che sono
dei thriller con elementi
fantastici; quel genere di
film mi piace, ma
non l’horror. in
“Amarcord. Il lato oscuro del cinema” n. 5 novembre/dicembre
1996, p. 5.
2
Conosciuto anche come Requiem of a
vampire.
3
I vampiri (e le
vampire) sono senz’altro
una mia dolce ossessione.
Sono personaggi che hanno
una loro poesia, in
un mondo che si
è fatto violento e
volgare risultano quasi
innocenti, lunatici, allo
stesso tempo seducenti,
sensuali ed un po’
surreali. Non a caso
io ho sempre voluto
fare nel cinema quello
che gente come Paul
Delvaux o Max Ernst
hanno fatto nella pittura:
ho voluto creare delle
situazioni surreali, strane,
qualcosa che ha a
che fare più col
sogno – talvolta con
l’incubo – che con
la realtà. Andrea Capizzi (a cura di),
Jean Rollin: una vita
tra le vampire, “Nocturno”
dossier n. 1 giugno 2002., p. 30.
5
Roberto Curti, Tommaso La Selva, Sex and
violence, cit., p. 98.
6
Fabio Giovannini, Antonio Tentori, Eros e
cinema fantastico, Datanews, Roma, 2004, p.
114.